Il mondo Secondo Stefano
Vita virtuale di Stefano Marani Tassinari
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Auguri di Natale da un traditore, di Stefano

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Ebbene sì, sono un traditore. Sono nato nel 1963, diciotto anni dopo la caduta di Berlino. Cinquantamila carri russi puntati sull’Europa. La dottrina dell’equilibrio strategico (nucleare perdinci! ). Cuba. Il Vietnam. Il comunismo era una minaccia reale, concreta. E io ho respirato anticomunismo fin dai primi istanti.
Sono cresciuto negli anni ’70. Il “regime” DC (e PCI ) e lo stragismo. La contestazione studentesca (frequento il liceo a Milano, figuriamoci ). Gli anni di piombo e le Brigate Rosse. Choc petrolifero e austerity. La caduta di Saigon (mi ricordo come fosse ieri, avevo 12 anni ). Il Patto di Varsavia sembra inarrestabile. Si vive un po’ in uno stato d’assedio, unica luce Montanelli. E l’anticomunismo è per noi una religione. Per tutti gli altri la destra è una bestemmia, soprattutto a Milano dove si vive nelle catacombe (le fogne appunto, come ironicamente ripreso dalla fanzine “La voce della fogna” dei ragazzi della Nuova Destra ). Conservatori o fascisti o liberali, ci sentiamo in guerra (non so se i più giovani riusciranno mai a capire … ) e ci prepariamo di conseguenza. L’imperialismo americano fa nascere i primi dubbi. Il golpe del Cile, i desaparecidos argentini.
Sono diventato uomo negli anni ’80. La fine degli anni di piombo, della contestazione e la sconfitta del terrorismo. Reagan e la Thatcher. Wojtyla e Solidarność. Il “disimpegno”, CL e la new wave. Craxi e il pentapartito. La mia personale, scoperta di de Benoist e della Nuova Destra, che mi allontana da preconcetti e schemi, e, in buona sostanza, dalla politique politicienne. Nonostante lo scontro SS-20 vs. “euromissili” si sente nell’aria che qualcosa sta cambiando. Non ce ne accorgiamo quasi ma arriva il 1989. Sono sotto le armi il 9 novembre quando cade il muro, e piango come un bambino. Pare che l’incubo sia finito e Fukuyama elabora la “fine della storia” (“lol” verrebbe da dire con il senno di poi ).
E qui inizia il bello. L’onda lunga della “fine della storia” travolge la Prima repubblica. Craxi e la DC cadono sotto i colpi della Magistratura con plauso e gaudio di buona parte degli italiani (mi ricordo un brindisi in ufficio - tutti moderati o di destra - per il primo mandato d’arresto a Craxi ). Ma c’è un problema, per noi di destra, i giudici lambiscono appena il PCI (sembrava impossibile, il “Partito Comunista” in sella, con tutto quello che era successo… ). Nel 1993 faccio il mio primo viaggio nei paesi ex-comunisti, e in Germania mi sembra di rivivere “1984” di Orwell (libro che mi ha segnato come pochi ). Al ritorno sembra ormai chiaro e sicuro che vincano “loro” che, intelligentemente senza toccare una virgola, fanno la “Bolognina” e si ripresentano candidi come gigli. E salta fuori lui. Proprio lui, Silvio Berlusconi. Dice che piuttosto che vedere sindaco di Roma uno di sinistra (Rutelli, curioso no? ), voterebbe Fini (che peraltro fino al ’91 manifestava, nemmeno troppo a torto a mio avviso, a favore di Saddam contro l’imperialismo yankee ). Fini? Un fascista? Perché no? Fini perde ma di poco, e nasce una speranza. Quella, inseguita da decenni, di avere nel nostro Paese un partito di destra democratico, moderno e presentabile (magari anche un po’ liberale, ma in senso “sabaudo” ). Berlusconi, con mezzi, capacità e audacia davvero eccezionali, crea un’operazione politica storica e irripetibile. Con la sua struttura aziendale di promozione finanziaria, l’appoggio dei transfughi del PSI e dei cattolici di CL e soprattutto, dei suoi apparati mediatici, crea un nuovo partito dei moderati: Forza Italia. Non solo, coalizza (il diavolo e l’acqua santa),
con indubbio merito storico, gli ex fascisti dell’MSI che diventano Alleanza Nazionale con i leghisti (e pure i cattolici moderati di Casini e Mastella, curioso no? ) e vince le elezioni. E l’anticomunismo è il vero collante di questa (e in fondo delle successive ) vittoria elettorale. Smetto la cronistoria e vado al punto. Berlusconi vince tre volte le elezioni (1994, 2001 e 2008) e sempre con lo stesso mandato dagli italiani:
• Liberarci da corporativismo e interessi particolari (sembra ironico col senno di poi) dilaganti a tutti i livelli;
• Ridurre il peso economico dello Stato e, soprattutto, le imposte;
• Rilanciare lo sviluppo economico e la “modernizzazione” del Paese.
Cos’è successo in questi sedici anni? Sono stati evocati complotti di ogni ordine e grado: i comunisti appunto, la magistratura, i “poteri forti” e chi più ne ha più ne metta. Ma nulla è stato fatto di quanto chiesto e sempre promesso. L’Italia è un paese sempre più lottizzato, in mano a corporazioni e poteri forti, in arretramento culturale e economico (scusate la priorità ), con un peso dello Stato e delle imposte insostenibile, che sta soffocando tutto e tutti. E peggio ancora, senza una visione e un progetto di società né a “destra” e tantomeno a “sinistra”. Berlusconi ha avuto in due circostanze maggioranze notevoli o clamorose, e cosa è stato fatto? Leggi ad personam come la “Gasparri” (poveri noi… ) tante, alcuni condoni, riforme serie nessuna. E noi moderati abbiamo bevuto tante belle storielle e siamo stati complici di tutto ciò con il nostro voto (anche se era ad AN). Ci siamo messi le fette di prosciutto davanti alla concentrazione dell’informazione e all’impoverimento culturale causate da quel modello (sì proprio quello! ), davanti a comportamenti che sono diventati inauditi e che gettano vergogna su noi tutti (e da anni, non facciamo gli gnorri), davanti all’utilizzo sistematico di rancori e paure (ahimè mai sopiti ), davanti al continuo sventolare di un anticomunismo che mi ricorda tanto l’antifascismo dei tempi passati (deve i fascisti erano quelli che non la pensavano come gli antifascisti medesimi o che a loro davano in qualche modo fastidio ). Oggi in un mondo dove un Paese della zona Euro può dare default, dove Facebook ha 500 milioni di iscritti, dove è iniziato la più grande competizione globale da due secoli a questa parte, che senso ha tutto ciò, se non per difendere (anzi coprire) i propri interessi?
Allora sì sono un “traditore”. Non mi interessa più l’area di provenienza delle persone, possono essere stati anche marxisti, o cattolici, o fascisti. Ma se hanno una certa idea dell’Italia, se vogliono cambiare lo stato - vergognoso - delle cose, se vogliono costruire un’Italia migliore per i propri figli sono fiero di essere loro compagno di viaggio e di “tradire” i signori che più ci hanno governato negli ultimi 15 anni. E che hanno fatto fior di Bicamerali con i degni compari di sinistra, senza essere mai “traditori” loro. Il mio anticomunismo (sul quale non accetterei molte lezioni) lo butto a mare. Abbiamo visto di che cosa sono capaci con il “metodo Boffo” o le tragiche (per l’Italia) compravendite in Parlamento. Abbiamo visto i comportamenti indegni (altro che Paese normale, qui siamo al livello di una repubblica delle banane!) e io non ne posso più.
E voglio i miei regali di Natale. Ad esempio un progetto per evitare la catastrofe e per costruire un futuro non dico sereno ma degno e vivibile. Oppure poter esprimere le mie idee liberamente senza essere chiamato venduto. O anche un Paese che non soffochi nel pattume e dove non crollino i monumenti. E se non passa Babbo Natale? Sarà dura, lo sappiamo, dovremo fare da noi. “Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, (… ), chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. “ (P. Neruda )
Tanti auguri a tutti, traditori e traditi.
Stefano Marani Tassinari (dicembre 2010)

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Manifesto della Base Futurista di Base Futurista

basefuturista
1-Noi non siamo comunisti né post-comunisti, non siamo fascisti né postfascisti,
non siamo democristiani né post-democristiani, non siamo ideologia
ma idea, siamo liberi dagli steccati e dai preconcetti, siamo liberi cittadini e
nient’altro.
2-Noi vogliamo uno Stato laico, moderno, aperto e civile che ponga al centro
della propria politica i giovani ed il loro futuro, la cultura e l'istruzione.
3-Noi non veniamo da lontano ma vogliamo andare lontano, la nostra storia
è nata il 1 Aprile, la nostra battaglia è cominciata il 29 Luglio e il nostro
futuro è cominciato il 5 Settembre a Mirabello.
4-La politica non è il male, gli interessi della politica sì, facciamo politica per
passione e per arricchire l’Italia non per arricchire i politici.
5-Noi sosteniamo chi ci ascolta, chi ci appoggia, chi ci incoraggia e condivide
la nostra passione, siamo e saremo in prima fila con i nostri rappresentanti
che combatteranno la corruzione, le ingiustizie i razzismi e le ignoranze per
il bene della Società.
6-Noi non sosteniamo e non sosterremo nessun politico che voglia
trasformare Generazione Italia e Futuro e Libertà in un apparato d’affari e di
potere, che voglia monetizzare il nostro entusiasmo per una poltrona, per il
potere, per sé stesso.
7-Noi non terremo il posto a nessuno, chi crede nel nostro progetto ci deve
credere da subito, senza condizioni e senza compromessi, con la propria
faccia ed il proprio entusiasmo, senza tentennamenti e senza timori, senza
rimpianti e senza reclamare garanzie.
8-Noi butteremo giù dal carro gli opportunisti dell’ultima ora e i candidati
imposti dall’alto.
9-Noi siamo nuovi, per una nuova Democrazia intesa nel senso più nobile ed
alto del termine e per una nuova Italia repubblicana, libera, democratica e
parlamentare.
10-Noi vogliamo solo gente onesta e corretta, senza collusi e senza
corrotti, senza condanne e senza conflitto d’interessi.
11-Noi vogliamo l’accoglienza nella legalità, dividiamo la gente in due sole
categorie: chi rispetta la Legge e chi non la rispetta, a prescindere da sesso,
razza, religione, orientamento sessuale, provenienza o tradizione.
12-Noi siamo individui e non individualisti, siamo molte idee, molte opinioni
e molte sensibilità, tanti sogni uniti da un’unica passione ed un unico
obiettivo: Cambiare l’Italia
Base Futurista (novembre 2010)
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Liberale vs. Sociale: torti e ragioni, di Stefano

“Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo.” (Wikipedia)
globalizzazione
L’Amministratore Delegato della Fiat (giustamente) sostiene che certe pretese (i famosi diritti “acquisiti” ) non sono coerenti con la competizione internazionale e che se, ad esempio, lo stabilimento di Pomigliano non arrivasse a certi standard di produttività, la Fiat si troverebbe costretta a trasferire la produzione in altri paesi. Sembrerebbe logico e coerente con i moderni principi economici, no? La risposta è senz’altro sì, almeno per tutte quelle imprese e quegli imprenditori che investono e rischiano mezzi economici, umani, intellettuali propri e quindi ne pretendono il pieno controllo. Ma chi ha pagato questo stabilimento, come tanti altri della Fiat e delle principali imprese italiane? Risposta: lo Stato con risorse pubbliche e con l’obiettivo di creare occupazione nelle zone più depresse del Paese. Quindi, certamente i dipendenti, ma anche le imprese hanno beneficiato di questa situazione (nel caso delle imprese con trasferimenti veri e propri ed anche molto sostanziosi); queste stesse che ora evocano logiche di mercato per razionalizzare i propri costi, magari spostando le produzioni in paesi con costi inferiori. Questo è “mercato”? O questo è “sociale”? O forse nel nostro Paese non abbiamo mai definito bene cosa vuol dire “competizione nei rapporti tra Stato e grandi aziende (spesso pubbliche o ex-pubbliche). A tal proposito mi viene in mente una delle privatizzazioni più eclatanti: quella delle autostrade, pagate a caro prezzo negli anni dagli italiani (e spesso a prezzi risibili in altri paesi d’Europa) e che consento ricchissimi profitti agli attuali azionisti. Questi profitti a chi spetterebbero in realtà?
Vi do la mia (personale) visione. La competizione, la libertà economica sono importanti, ma non hanno come fine l’arricchimento di pochi a scapito di molti (come forse - dico forse - sta avvenendo da qualche anno a questa parte). La competizione serve a migliorare il sistema garantendo PARI OPPORTUNITA’ senza RENDITE DI POSIZIONE a tutti gli attori economici. Questo dovrebbe essere tanto più vero in un paesi di piccole e medie imprese come il nostro. La competizione serve a creare ed erogare servizi pubblici e privati MIGLIORI e PIU ECONOMICI per i cittadini (il caso delle assicurazioni automobilistiche mi sembra emblematico: chi ci guadagna?). La competizione non dovrebbe essere evocata per scaricare costi sulla collettività o sviluppare ricavi garantiti e assistiti: tutto ciò crea tutt’altro che libero mercato. Mi pare che lo stato della nostra economia, nonostante il valore, la capacità, l’investimento di tanti imprenditori (una delle nostre vere ricchezze), lo testimoni. La competizione può e dovrebbe essere orientata anche verso scopi “sociali”, per sostenere la capacità economica e la qualità della vita dei cittadini (quale altro scopo dovrebbe avere lo Stato?), soprattutto considerando che viviamo in un mondo dove contemporaneamente e paradossalmente lo Stato occupa sempre più spazio (in molti paesi europei ben oltre il 50% del PIL) ma anche in cui la deregolamentazione economica sta rendendo più fragili gli Stati stessi e molto più precaria la stabilità economica degli individui.
In Italia, lo sappiamo bene tutti in verità, ci sarebbe molta libertà sociale ed economica da introdurre. Il meno Stato più mercato va quindi benissimo, ma a patto di rimettere il legittimo beneficiario finale (il cittadino) al posto che gli compete.
Stefano Marani Tassinari (giugno 2010)
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Sindrome da Rifondazione, di Stefano

politica
C’era una volta un’area politica (non che l’amassimo molto… ) che valeva l’8% e ambiva a diventare di più, molto di più… Che ne è diventato? Non è più nemmeno in Parlamento (poco male direte voi… ). Perché? Perché colpita da una sindrome, che d’ora in poi chiameremo “da Rifondazione”, che è quella della corrente, del personalismo, del partitino nel partito. La pluralità è una bella cosa, anzi è una grande ricchezza. La competizione interna anche può esserlo, ma dentro un progetto comune e federativo, con delle regole oneste, chiare e condivise. La disaggregazione invece non lo è, le lotte intestine non lo sono e ciò rientra (spesso) in logiche di politica che, nella discussione in corso anche nel nostro interno, possiamo simpaticamente chiamare “1.0”. A mio (modesto) modo di vedere la parte davvero positiva, nuova, interessante di Generazione Italia è l’apertura, la capacità di attrarre e di integrare esperienze e sensibilità politiche diverse anche di “colori” estranei alla matrice originaria. Questa è una forza che oggi nessuno ha (e pochi progetti politici hanno avuto) nel nostro paese. Il rischio è naturalmente che la pluralità inevitabilmente risultante porti appunto a frammentazione e conflitti interni. Che è proprio quello da evitare in questa fase di consolidamento: sarebbe forse fatale. Abbiamo di fronte una grande sfida: essere plurali e uniti. Ci riusciremo?
Stefano Marani Tassinari (maggio 2010)
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La politica 2.0: Solo Internet? di Stefano

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Si parla molto, indubbiamente, di “politica 2.0”. La spaventosa facilità e rapidità di comunicazione del Web ha iniziato a influenzare anche la nostra (conservatrice) arena politica? Esempi come Grillo e il suo movimento, l’uso ormai consistente del web da parte di forze e uomini politici di ogni ordine e grado, lo stesso successo di Generazione Italia, molto web-based, sembrano indicare un bel si. Eppure, secondo me, le cose non sono così semplici. Perché la “politica 2.0” non è (solo) la politica su Internet, ma è la politica nel tempo di Internet. Un tempo che scorre in un mondo più “liquido”, dove le vecchie ideologie (“1.0” le chiamano ora… ) fanno, o dovrebbero fare, ormai sorridere, dove le idee corrono veloci, libere e a volte prive di controllo. Dove ci si confronta alla pari, dove ci si deve confrontare anzi. Senza i vecchi schemi, le dietrologie e vecchie letture. Dove non può, non deve cambiare solo il mezzo (che come tutti i mezzi è tendenzialmente neutro), ma soprattutto il contenuto. Sembra più facile, ma non lo è. Ci si può muovere più velocemente, andare ovunque, ma lo possono tutti, e soprattutto, si muovono sia che cose che vogliamo noi che quelle che vogliono altri, che magari possono anche non piacerci. Insomma, il web è per sua natura aperto, libero ("democratico" si usa dire) e pretendere di usarlo solo a proprio vantaggio è un po’ comodo e perfettamente inattuabile. Dopo poco tempo la credibilità crolla a zero. E la credibilità è tutto in questo nuovo mondo data la mancanza di riferimenti tradizionali. Voler usare i vecchi modelli, i vecchi contenuti 1.0 nel nuovo contesto può essere una tentazione, ma rischia di diventare non solo inutile ma un boomerang per chi ci prova. Perché nemmeno qui ci si improvvisa, anzi. Bene. La domanda ora è: ma noi siamo pronti a viverla, a farla la “politica 2.0”?
Stefano Marani Tassinari (giugno 2010)
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Ha senso definirsi conservatori? di Stefano

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Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui.” (Ezra Pound)
Esiste qualcosa da conservare? Qualcosa che ci appartiene, che avevamo e che ora non abbiamo più e che forse ci serve? Ha senso, come disse Longanesi, essere conservatori in un paese dove non c’è nulla da conservare? La mia risposta, scontata direte voi, è: sì. Esiste, nonostante tutto anche in Italia, qualcosa da conservare ed essere Conservatori (con la C maiuscola) non significa voler conservare privilegi o benefici o ricchezze, che spesso nemmeno si hanno, ma valori e principi che sono la base per una costruzione libera, stabile e positiva dell’esistenza (e Dio sa di quanto ne abbiamo bisogno!). E per parlare di principi, se proprio dovessi lanciarmi in una definizione, direi che se ce n’è uno da recuperare è la capacità di agire contro i propri interessi in nome di un interesse superiore (quando è necessario beninteso) in contrapposizione al perseguimento dell’esclusivo interesse personale. Credo che questa cosa possa far riflettere le persone che, come me, osservano e vivono la società italiana oggi. Ecco, se proprio dovessi dare uno scopo a questo scritto, è proprio quello di mantenere vivi e (magari) diffondere principi come questo.
Parlo (e vorrei parlare) di conservazione, e non di reazione o di tradizione (sono concetti con cui si fa spesso una certa confusione), in quanto ritengo che, pur partendo dal passato, si debba sempre e comunque essere orientati al futuro, ovvero, per dirla come Prezzolini, trattasi di andare indietro per prendere meglio la rincorsa e che Il “vero conservatore” sa che a problemi nuovi occorre dare risposte nuove, ispirate a principii permanenti. Dice un filosofo francese che a me piace molto per il suo anticonformismo (de Benoist) alla parola di “reazione” oppongo quella di “conservazione”. Chiamo reazionario l’atteggiamento consistente nel tentare di ripristinare un’epoca o una stato anteriori. Chiamo conservatore l’atteggiamento consistente nel far perno sul meglio di ciò che ha preceduto la situazione attuale, per giungere ad una situazione nuova. Inoltre non vorrei confondere il pensiero conservatore con le categorie politiche attuali (destra-sinistra), che poco hanno da spartire con un idee conservatrici (anche la destra, sì!), almeno a mio modo di vedere, ma questo è già un argomento di discussione (ad esempio, disse una volta Montanelli: Io continuo a professarmi uomo di destra: ma la mia destra non ha niente a che fare con quella "patacca" di destra che ci governa).
La cosa curiosa è che la società attuale, in particolar modo in Italia, sembra aver in buona parte rimosso il concetto di conservazione non solo in politica ma nella concezione complessiva del mondo. C’è un dubbio che tormenta, a volte, gli onesti sonni degli storici quando capita loro di mettere a paragone la società attuale con “il mondo che abbiamo perduto”: si stava meglio quando si stava peggio? (Massimo Fini). Oggi ci troviamo a fare i conti esclusivamente, almeno a livello mediatico e diffuso, con una concezione teologica del progresso in ogni campo della scienza, dell’economia, della società, della storia, dell’etica e via dicendo. Una sorta di pensiero unico permea ogni cosa salvo forse la religione (più “conservatrice” per sua natura), universalizzando, globalizzando e normalizzando individui e idee in un processo votato senza dubbio alcuno al presunto “Bene Universale”. Come dubbio non c’è (e non è dato che ci sia) che la società del presente, con tutta la sua tecnologia e il suo benessere, sia forzatamente migliore, più libera, più giusta di tutte quelle precedenti. Indipendentemente dagli stermini compiuti negli ultimi 100 anni (proprio grazie ala tecnologia), dalle catastrofi umanitarie e ambientali, dall’indiscutibile alienazione e perdita di valori a cui è sottoposto l’uomo contemporaneo. Dice de Benoist (nel 1980&hellipWinking Mai abbiamo vissuto in una società così ricca. Mai il livello di vita dei più è stato così elevato. Mai l’educazione è stata così massiccia. Nello stesso tempo però, mai la contestazione è stata così forte, mai l’inquietudine ha tanto regnato. La società è diventata prigioniera del “principio del piacere”.
Mi sembra giusto cercare di capire quali potrebbero essere “percorsi” o “risposte” che possano traghettare il meglio del nostro passato verso un futuro degno di essere vissuto da uomini liberi. L’atomizzazione, l’individualismo, la globalizzazione, le nuove tecnologie hanno sradicato i meccanismi secolari (a volte brutali, per caritàWinking, che inculcavano nell’uomo valori coerenti con la sua società ed il suo tempo. Oggi tutto ciò è stato disgregato o sta per esserlo: a noi capire cosa conservare in vista di un domani migliore.
Stefano Marani Tassinari (aprile 2008)
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I 25 principi di morale di Alain de Benoist (sintesi)

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1) Nel bene e nel male l’uomo è il “partner” di Dio.
2) Non basta essere nati, bisogna anche essere “creati” e non si può essere creati che da se stessi.
3) La virtù non è un mezzo ma è in se stessa; la riconquista de sé è il punti di partenza di ogni ricerca e di ogni conquista.
4) Essere se stessi non è sufficiente, bisogna anche diventare ciò si può essere e costruirsi in funzione dell’idea che si ha di sé.
5) Fissare la propria norma e attenervisi; difendere contro tutti, anche contro se stessi, l’idea che si fa delle cose e che ci si vorrebbe poter fare di sé.
6) Prendere “possesso” degli altri solo dopo che si è preso “possesso” di sé. Più si sale in alto, più si cammina da soli e più si deve contare su se stessi.
7) Il mondo è un’incommensurabile tragedia, un caos a cui però si può dare forma.
8) Noi meritiamo tutto ciò che ci accade; oltrepassata una certa soglia non esistono né fortuna né caso: i nostri avversari non altro altra forza che la nostra debolezza.
9) In principio era l’azione. Ciò che è importante è la missione, non colui che la compie.
10) L’onore: mai venir meno alle norme che ci si è fissate.
11) Lo stile è l’uomo. E’meglio far bene le cose mediocri che far male le cose eccellenti e il modo in cui si fanno le cose vale più delle cose stesse
12) Abbandonare la felicità e la pace dell’anima alla maggioranza; sapersi fare ovunque dei nemici, al peggio farsene uno in se stessi.
13) Dar la precedenza al dovere sulle passioni; alle proprie passioni sugli interessi.
14) Realizzare e senza posa ricreare l’armonia vissuta delle contingenze e dei principi facendo in modo che gli atti siano conformi alle parole.
15) Non pentirsi trarre piuttosto degli ammaestramenti. Pentirsi non serve a cancellare l’errore ma a placare la coscienza.
16) Non perdonare mai, dimenticare molto. Non odiare mai, disprezzare spesso.
17) Contro l’utilitarismo. Non basta intraprendere senza essere sicuri di vincere, bisogna ancora intraprendere anche se si è sicuri di fallire.
18) La virtù, così come il vizio, non può essere appannaggio che di un’élite.
19) Non cercare di convincere cercare piuttosto di risvegliare. La vita trova senso in ciò che più della vita non al di là della vita.
20) Il lirismo può servire come regola morale. Il solo modo per aderire al mondo superiore consiste nel costruirsi in analogia ad esso.
21) Il presente attualizza tutto il passato, rende potenziale tutto il futuro. Tutto ciò che facciamo impegna ciò che è avvenuto allo stesso titolo di ciò che avverrà.
22) Scopo della vita: mettere qualcosa di importante tra sé e la morte.
23) Solitudine. Saper essere del partito della stella polare: quella rimane al suo posto quando tutte le altre continuano a girare.
24) Non c’è vera pietà all’infuori della pietà filiale, elargita agli avi, alla discendenza, al popolo. I nostri avi scomparsi non sono né spiritualmente morti né passati in un altro mondo. Sono al nostro fianco.
25) Tutti gli uomini di qualità sono fratelli, non importano la razza, il paese, il tempo.
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I cinquantatré principii del Vero Conservatore di Giuseppe Prezzolini

545-GIUSEPPE PREZZOLINI
1) Il Vero Conservatore (V.C.) ha rispetto per il tempo piuttosto che per lo spazio, e tiene conto della qualità piuttosto che della quantità. Non disprezza le cognizioni, ma sa che non hanno valore senza i principii. Sa andare all’indietro perché, per andare avanti, bisogna qualche volta arretrare per prender meglio la rincorsa.
2) Prima di tutto il V.C. si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché il V.C. intende “continuare mantenendo”, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il V.C. sa che a problemi nuovi occorre dare risposte nuove, ispirate a principii permanenti.
3) Il V.C. è persuaso di essere, se non l’uomo di domani, certamente l’uomo del dopodomani, che sarà riconosciuto quando i suoi avversari democratici avranno fatto fallimento. Il V.C. si sente rinnovatore delle leggi eterne dimenticate stupidamente, nascoste ipocritamente, trascurate impotentemente, violate quotidianamente.
4) Il V.C. non è contrario alle novità perché nuove, ma non scambia l’ignoranza degli innovatori per novità.
5) Il V.C. si guarderà bene dal dare un sigillo religioso alla propria dottrina, perché la dottrina del V.C. non è fondata sopra una rilevazione a sopra i fatti e il ragionamento. Pur rispettando le religioni storicamente salde in un Paese, come agenti di connessione stabilità sociale, il V.C. preferisce fondarsi sulla biologia e sulla storia: sulla biologia che ha stabilito l’importanza degli elementi (geni) che mantengono la continuità più dell’ambiente; e sulla storia che, pur non ripetendosi esattamente mai, ha mostrato quale disgregazione possano esercitare certe forze sulle società umane. Il V.C. sa che non si possono modificare senza pericolo i fondamenti della vita sociale.
6) Il V.C. è per la natura contro l’astrattismo, per il provato contro il teorizzato, per il permanente contro il transeunte.
7) Gli elementi naturale della società sono per un V.C. la proprietà privata, la famiglia, la patria e la religione.
8) Il V.C. esalta il senso della responsabilità contro la leggerezza, l’improvvisazione, la negligenza, la procrastinazione, l’insolente sovvertimento e l’utopia. Il V.C. deve agire, ma con coscienza; pensare ma con rispetto del passato, prevedere, ma senza dimenticare.
9) Il V.C. è convinto che l’uomo non è cambiato profondamente da quando è apparso sulla terra capace di modificare il proprio ambiente con uno sforzo comune, e che i cambiamenti ereditari avvengono per quantità infinitesimali che si accumulano.
10) Il V.C. accetta la possibilità di cambiamenti politici, poiché la storia è cambiamento continuo; ma vuole che il cambiamento avvenga con prudenza, con calma, con successivi e tempestivi gradi.
11) Il V.C. reputa utopici i programmi universali come abolire la povertà, l’analfabetismo, la fame in tutti i Paesi del mondo; e propone programmi parziali, limitati ad una dato Paese, a un dato periodo di tempo per ottenere frutti sensibili.
12) Il V.C. considera l’idea di progresso come un errore logico, perché non si sa se si progredisce se non si sa in quale direzione si va e dove ci si vuole fermare, e quindi a un certo momento il progressista dovrà diventare conservatore; e come un errore sperimentale, perché non sempre quello che viene dopo è migliore di quello che lo ha preceduto.
13) Il V.C. non ritiene che la povertà e l’insuccesso siano dovuti sempre alle condizioni sociali o all’ignoranza degli individui; sa che dipendono da condizioni generali della vita, da scarsa capacità o volontà di lavorare, da povertà di immaginazione, da inferiorità o accidenti fisici e fisiologici; ai quali si deve provvedere con la carità privata o pubblica, e tanto meglio quanto più è diretta, locale e meno burocratica che possa essere; non già con modificazioni delle strutture sociali.
14) Il V.C. riconosce che l’esistenza di istituzioni che hanno operato per lungo tempo in un paese dimostra che generalmente queste istituzioni hanno avuto una ragion d’essere e di perpetuarsi, e che prima di modificarle e di abolirle di deve aspettare che qualche evidente e provata necessità di farlo sia stata dimostrata e parzialmente almeno sperimentata; e non si fida dei progetti che dichiarano facile il cambiamento o che incontrano il favore del pubblico.
15) Per un V.C. il più importante scopo di ogni comunità è quello di mantenere intatte le proprie caratteristiche di usi, di costumi, di lingua e quando il caso, di razza e di religione; a questo scopo segue quello di assicurare al maggior numero il benessere necessario allo sviluppo di tutte quelle qualità potenziali dei singoli.
16) Il V.C. sa che la distruzione o alterazione di una istituzione può provocare in altre istituzioni l’indebolimento dell’equilibrio generale di una società.
17) Il V.C. è convinto che le energie dell’enorme maggioranza degli uomini non sono razionali ma passionali ed effetto di immaginazione, quindi si sforza di fare in modo che il potere sia in mano dei più razionali, dei più colti, dei più educati, di coloro che hanno dimostrato di saper inventare, di poter produrre, di volerne conservare il prodotto e d’aver senso di responsabilità nell’uso del potere e della ricchezza che si possono conquistare nella competizione.
18) Il V.C. crede che la competizione abbia perfezionato le capacità della razza umana e non vede quindi ragione di modificare le condizioni che ne han reso possibile finora lo sviluppo.
19) Separare i migliori elementi dai peggiori e per il V.C. il sistema più adatto allo sviluppo sociale, mentre il mescolare dei tardi con i pronti, dei sani con gli ammalati, degli intelligenti con gli stupidi, degli attivi con i passivi è il sistema più adatto a ritardarlo.
20) Il V.C. è realistico; parte dal principio che gli uomini non sono uguali. Ogni costituzione che parta da principii differenti porta inevitabilmente con sé enormi scompensi colmati soltanto da ipocrisie.
21) Gli uomini sono disuguali per salute, per età, per sesso, per apparenza, per educazione, per ingegno, per forza, per coraggio, per bontà, per onestà e per molte altre condizioni dovute all’ereditarietà e alla fortuna. Ogni legislazione o costituzione che non tenga conto di questo è da considerarsi vana e dannosa (aggiungere nota) .
22) Il V.C. sa che le società umane sono frutto di crescita lenta, e non macchine che si possono riparare pezzo per pezzo; è quindi difficile e pericoloso modificarne una parte senza distruggere l’armonia che si è formata col tempo tra le varie parti.
23) Il V.C. riconosce come legge naturale che ogni società lotta per conservare se stessa e naturalmente preferisce il proprio puzzo all’odore degli altri.
24) Il V.C. sa che la fonte maggiore del rispetto sociale è l’autorità, che l’esempio vale più dei discorsi; e quindi cercherà di essere un campione, insieme con la propria famiglia, delle virtù che fanno guadagnare l’autorità: ossia il compimento dei propri doveri, l’onestà personale, la capacità di giudizio non partigiano, il mantenimento della parola data, la specchiatezza dei costumi, la coerenza dell’azione con il pensiero, la modestia nella vita sociale.
25) Il V.C. è contrario all’espansione dei poteri, dei diritti, della beneficenza dello Stato, il quale dovrebbe limitarsi a provvedere, in modo tecnico perfetto, la sicurezza dell’indipendenza nazionale, le comunicazioni rapide e a buon mercato, l’igiene necessaria alla salute della popolazione, la scuola che sa scegliere i migliori, una vecchiaia non questuante, la cura delle malattie gratuita; e soprattutto dovrebbe offrire un corpo di giudici imparziali, un codice di leggi chiare, una esecuzione delle giustizia rapida e poco costosa per tutti e una stabilità di istituzioni che permetta ai cittadini di provvedere al futuro con una certa sicurezza.
26) Il V.C. considera come pericolo sociale un’eccessiva concentrazione di ricchezza nelle mani dei pochi come un’eccessiva povertà nelle masse, e mira alla costituzione di una larga classe media, superiore in numero e potere ai pochi molto ricchi e ai troppi troppo poveri.
27) Il V.C. si aspetta tutto dall’intimo desiderio che ha ogni uomo di migliorare e superare i vicini, e diffida di ogni soverchia facilità concessa dallo Stato ai meno dotati di intelligenza e ambizione.
28) Il V.C. sa che la libertà individuale è una grande fonte di scoperte, di invenzioni, di spinte, ma anche di oppressioni, di mutilazioni, di distruzione dei più deboli. Nessuna regola esiste che misuri il momento in cui una libertà diventa nociva; ma è certo per il conservatore che la libertà personale non può essere un diritto, bensì una concessione che lo Stato può negare, ritirare o moderare.
29) Il V.C. rispetta la libertà dei culti religiosi, ma non permette ad alcun gruppo religioso di esercitare influenza sulla vita politica della società.
30) Il V.C. in Italia difende la civiltà che è nata dalla tradizione del mondo greco - latino, dall’ideale della vita attiva in politica, dalla superiorità dei concetti e delle espressioni chiare in arte, dalla civiltà cristiana nella parte assorbita dalla civiltà moderna.
31) Il V.C. crede migliore la sicurezza della vecchiaia affidata alla preveggenza degli individui capaci di risparmio che alla munificenza dello Stato; e che coloro che chiedono l’aiuto dello Stato debbano, nello stesso tempo, rinunziare alla partecipazione nel governo dello Stato (poveri mantenuti e ricchi protetti).
32) Il V.C. sa che la storia non si ripete mai esattamente, e che nessuno impara dai i suoi insegnamenti più di quello che è capace per natura di apprendere. Però sa che ci sono modelli di accadimenti che possono suggerire attenzioni, precauzioni e soluzioni per evitare danni, decadenze, disastri: sempre che l’insegnamento non sia una formula e i provvedimenti siano misurati con la bilancia senza cifre del giudizio.
33) Il V.C. sa che l’estensione della burocrazia, l’uso dei mercenari o di armi straniere, l’aumento progressivo delle tasse, la svalutazione della moneta sono stati sempre il principio della decadenza delle società e hanno annunciato il principio della fine della loro indipendenza.
34) Il V.C. sa che ricchezza non sostituisce la capacità, né la povertà costituisce un merito; e che la migliore atmosfera sociale è quella nella quale i più attivi, i più onesti, i più colti, i più capaci occupano i posti di comando. Il privare i pochi abili del poter sfruttare le opportunità che incontrano o inventano è una tirannia uguale al rendere schiavi i più per beneficio di pochi.
35) Il V.C. non crede che gli uomini siano delinquenti o bravi cittadini in virtù delle istituzioni; ma che ci sia in ciascun individuo qualche principio che lo rende, fin dalla nascita, contento e desideroso o no di giovare alle società.
36) Non c’è nulla di meglio per un V.C. del voto segreto per assicurarsi il consenso pubblico; il lui il referendum e i plebisciti hanno valore se accompagnati da discussioni libere. Però il voto per dimostrare interamente il proprio valore dovrebbe essere calcolato in proporzione al contributo che il votante dà alla società ed alla responsabilità che il votante prende rispetto ad essa in prestazioni, in denaro, in prestigio, produzioni; e queste son cose difficilissime da misurare.
37) Il V.C. ritiene che in generale sia bene che un popolo sia istruito, ma che non sempre l’istruzione favorisca la sua felicità e contribuisca a mantenere la sua identità.
38) Il V.C. è piuttosto pessimista per natura; non crede che gli uomini nascano buoni e siano fatti cattivi dalla società, bensì quel poco di buono che ci si può aspettare dagli uomini è il risultato lento di secoli di lotta e di compressione della società per ottenere da essere naturalmente aggressivi uno sforzo di collaborazione. Il V.C. sa che la devozione alla patria, il senso del dovere, il rispetto umano sono virtù di pochi.
39) Il V.C. considera con sospetto tanto il dominio dei dittatori quanto quello delle folle.
40) Il V.C. ritiene che lo stesso cittadino, che è capace di giudicare abbastanza bene gli affari del proprio comune, che lo riguardano da vicino, è incapace di giudicare della politica generale e soprattutto della politica estera di tutto lo Stato; e che una distinzione d’elettorato sia necessaria se si vuole conservare il potere ai più competenti e nello stesso tempo dare al potere l’appoggio necessario del consenso. Perciò il V.C. è contrario al suffragio universale.
41) Il V.C. è convinto che la democrazia sia la forma di governo più facilmente corrompibile, e che specialmente quella parlamentare offra l’occasione e la tentazione ai deputati di approfittare del denaro pubblico, sia direttamente per loro e per le loro famiglie, sia indirettamente per comperare con favori dannosi al pubblico interesse alcune schiere di elettori, o nella propria città, o in una determinata classe.
42) Il V.C. è convinto che oggi le forze del lavoro organizzate in sindacati debbano partecipare ala vita pubblica e allo Stato con piena responsabilità finanziaria della propria azione, salvo gli appartenenti ai servizi pubblici, dagli ospedali alle scuole, dai trasporti alla vigilanza cittadina, che debbono essere considerati come militari obbligati al loro impegno sociale.
43) Il V.C. vede con simpatia le partecipazioni alla proprietà individuale delle classi lavoratrici, dalla casa fino all’azione della società anonima (per azioni, ndr), dalla cooperativa fino al fondo pensioni di ciascuna azienda (che premi con questa una lunga attività in essa), purché prendano forma individuale, esigano sforzo di risparmio ed eccitino l’orgoglio e l’indipendenza di ciascun nucleo familiare.
44) Il V.C. non reputa che per essere moderni occorra scrivere in modo da non essere intesi, che per protestare contro le ingiustizie sociali si debbano portare i capelli lunghi e la biancheria sporca; che per provare l’uguaglianza dei sessi si invertano i sessi, che per mostrare l’apertura della mente si adottino costumi di altri popoli; che per confermare la propria religione si accetti la religione degli altri.
45) Il V.C. è contrario all’esotismo, perché è segno di decadenza dei popoli, e in questo può trovarsi d’accordo anche con i comunisti che in Russia e in Cina ne sono severi censori.
46) Per un V.C. la stampa pubblica dovrebbe essere liberissima e, nello stesso tempo, responsabilissima, la responsabilità dovrebbe essere fissata da norme chiare, pratiche, esatte, attuabili senza la prigionia.
47) La libertà individuale è per il V.C. una fonte preziosa di vita in uno Stato, ma va considerata piuttosto una “concessione” che un “diritto”.
48) Il V.C. sa che per ogni regola generale ci sono eccezioni e ne terrà conto nella formulazione delle proibizioni.
49) Il V.C. spingerà la società a comprendere che i conflitti dei lavoratori con i capitalisti debbono essere risolti da un giudice senza il ricorso al dispendioso sistema dello sciopero.
50) Il V.C. non ha nostalgia del passato, giudica severamente il presente, e non gli sorride l’immagine del futuro; egli sa che i governi sono tutti, all’incirca, oppressivi, tutte le rivolte liberali creatrici di tirannie, e le felicità sognate tutte irraggiungibili, perciò teme i trapassi, le rivoluzioni, le agonie delle attese, le turpitudini delle promesse, i trionfi dei profittatori; e dici agli uomini di accontentarsi di ritocchi sensati, di riforme serie, di pazienti creazioni di nuovi sistemi.
51) Il V.C. sa che la differenza di una classe, la denutrizione di una regione, l’insoddisfazione di un ordine, l’insufficienza di un organismo tecnico vengono risentite da tutta la società e la società vi deve provvedere, suscitando in essi la capacità autonoma di ripresa e di risanamento.
52) Il V.C. ritiene che gli uomini non siano buoni per natura, cioè capaci di superare l’egoismo personale e familiare necessario per vivere; e che, lasciati a se stessi, senza la necessità che li spinge a guadagnare, senza la minaccia della punizione che li tiene lontani dalla violazione delle leggi, senza gli incentivi dell’orgoglio e della vanità che li spinge a partecipare utilmente alla vita sociale, essi si darebbero nella maggior parte dei casi all’infingardaggine, poi alla baldoria e finalmente alla dissipazione dei beni ereditati.
53) Per un V.C. le divergenze tra Stati non possono tutte essere risolte con accordi dipendenti da ragioni e discussioni; e nessun tribunale internazionale esiste che abbia la forza di imporre l’esecuzione dei propri giudizi. Cosicché, per quanto sarebbe augurabile una soluzione pacifica dei conflitti, bisogna rassegnarsi alla possibilità delle guerre. In tal caso il V.C. accetta il parere di coloro che da secoli hanno riconosciuto la preparazione militare e le alleanze protettive come i migliori mezzi per rendere meno frequenti perché più difficili le minacce e le aggressioni armate.
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